di Stefano S. Antonelli
A gennaio durante la mostra “Vandalism” alla 999 entra un ragazzo con un rotolo di due metri e mezzo in mano e si mette a guardare i lavori appesi alle pareti. Lo guardo, quel rotolo era ingombrante, infastidiva gli altri ospiti, la 999 è un piccolo spazio. “Che cos’é?” gli chiedo e lui mi risponde che è una cosa che andrà ad attaccare per strada quando farà buio. Ho detto “ok, srotola fammi vedere” sono dovuti uscire tutti per permettergli di srotolare quella carta. La gente era sulla porta che voleva vedere. Il ragazzo dispiega tutto quell’enorme rotolo a terra. Prima c’è stato un attimo di silenzio e poi quel verso di ammirazione spontanea che facciamo tutti, un “oooh” corale si è propagato nella sala. Ho guardato quello che c’era su quella carta, ho guardato il ragazzo negli occhi e gli ho chiesto “l’hai fatto tu?” e lui mi ha sorriso e mi detto “si”. Mi ha detto solo “si”. Il ragazzo aveva 21 anni, parlava con accento spagnolo, si chiamava Borondo e raccontava che faceva questi lavori in strada da parecchio tempo e io continuavo a fissare la carta e avevo la nettissima sensazione di trovarmi davanti ad un grande artista. C’è voluto quasi un anno di lavoro ma finalmente eccoci qua, é la sua prima vera mostra finalmente nella disperata incertezza che la nostra stupida galleria sia troppo piccola per un artista così grande.***
di Sabina de Gregori dal catalogo della mostra – © Riproduzione riservata
Gonzalo Borondo è nato nel 1989 in un piccolo paese della Spagna, Valladolid, ma da subito va a vivere a Segovia, la città che per prima influenzerà le sue scelte artistiche e che lo aiuterà a capire quali sono i luoghi migliori in cui agire: le strade, i muri e le piazze diventeranno la fonte privilegiata per arrivare alla conoscenza e all’espressione di sé.A quattordici anni si trasferisce a Madrid e qui frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti. Inizia a fare graffiti e tag in giro per la città e il classico bombing sui treni, inserisce nei suoi lavori dei puppet – in cui diminuiscono le lettere e aumentano i disegni – ma capisce subito che non è quello lo stile che caratterizzerà il suo linguaggio artistico più maturo. Per un breve periodo si serve anche degli stencil con lo scopo di lanciare messaggi politici e sociali.
È proprio Madrid a segnare la sua crescita personale e artistica. Grazie all’incontro con il suo maestro Jose Garcia Herranz ha la possibilità di imparare e cimentarsi con tecniche e linguaggi nuovi. Come un pittore del Cinquecento Borondo va a bottega e usa ogni tipo di materiale. Lavora con il carboncino, l’olio e la tempera, sperimenta nuovi mezzi di espressione per arrivare a comprendere che per lui la migliore galleria è la strada. Gli anni trascorsi a Madrid hanno formato nell’artista una sorta di doppia identità: da un lato il writer e dall’altro il pittore classico, elementi che convergono perfettamente dopo anni di lavoro e studio, in questa mostra.
Nel 2005, diciassettenne, espone per la prima volta a Palazzo Segovia in una mostra di pittura dal titolo Ecce Homo in cui la figura umana era protagonista; l’evento ha avuto molto successo e tutti i pezzi sono stati sold out.
A 18 anni entra a far parte del collettivo Trauma (Taller revolutionario de arte urbana de Madrid) con cui fa azioni e lavori che da solo gli erano impossibili e collabora con la Brigades anti-gris: lavano via la vernice grezza dai muri con cui il comune aveva coperto i graffiti e fanno riemergere i disegni.
Sempre a Madrid espone in altre tre mostre: nel 2010 nella Galeria EM7, nel 2011 Hole of Fame in cui espone manifesti, e l’ultima nel 2012 Status Symbol, in collaborazione con An Wei.
L’elemento che distingue Borondo dagli altri street artist e che è determinante nella sua crescita artistica e nella ricerca di un proprio linguaggio è da ricercare nella sua biografia. Il padre, infatti, era un restauratore e Gonzalo è cresciuto tra quadri classici, proporzioni perfette, volti cerulei, panneggi e paesaggi che hanno formato definitivamente il suo gusto.
Tra i suoi materiali preferiti c’è il vetro mentre la tecnica che più gli corrisponde è quella del graffio, il vero spartiacque del suo lavoro. Con il suo trasferimento da Madrid a Roma vetro e graffio sono diventati la forma indissolubile del suo personalissimo e originale linguaggio.
Come dice lui stesso: “Il vetro ha qualcosa che gli altri materiali non hanno. È fragile ma resistente allo stesso tempo. È un mistero che ancora non sono riuscito a capire”.
Nei suoi pezzi, inizialmente, tracciava linee di contorno come fossero veri bozzetti preparatori, ora invece le linee sono state sostituite con i graffi, che “incorniciano” la macchia ottenuta con la vernice e stesa con il rullo. La scoperta del rullo è stata un ulteriore passaggio, gli permette infatti grande velocità di stesura, uniformità e compattezza. È diventato il suo pennello, i suoi lavori appaiono così sempre più ariosi, le linee più espanse e volte a comprendere ampie porzioni di spazio.
Borondo è arrivato nella capitale il 14 ottobre 2011 per frequentare l’Accademia. Qui ha conosciuto il movimento 15 ottobre, ha presto imparato l’italiano e ha osservato a lungo la città. A Roma come a Madrid si può lavorare per strada con grande libertà, la vera differenza è il rapporto con il Tempo e con la Storia. Nella città spagnola c’è l’ossessione contemporanea del nuovo sinonimo di pulito: si tende a eliminare le tracce del passato creando strutture all’avanguardia su modello americano. A Roma questo non può succedere ed è proprio in questo contesto che Gonzalo ha scelto di confrontarsi, sperimentare e crescere artisticamente, avvicinandosi sempre di più all’identificazione con il proprio lavoro.
Borondo preferisce i grandi formati, ma non per il consueto motivo della street art “più grande è il lavoro più persone lo possono vedere” ma per un maggiore senso di libertà. Nel grande formato è implicato tutto il corpo, la brutalità è estremizzata e il gesto primordiale della creazione più ampio.
Proprio per questo motivo Isterofimìa rappresenta un passaggio molto importante per il suo linguaggio, non abituato ai formati piccoli, agli spazi chiusi e a delle regole simmetriche ben precise. Allo stesso tempo questa costrizione lo ispira, gli mostra una nuova strada espressiva e il tema degli scomparsi scava nel profondo della sua personalità, privata e di artista.